mercoledì 28 febbraio 2007

Il Pizzo Tresero (m 3594)

Una piramide nel regno dei ghiacci

Una enorme e triangolare vetta che si erge altissima verso il cielo, una piramide dalle forme perfette ammantata da immani ghiacciai che domina da lontano tutta l'alta valle con il suo inconfondibile profilo. Una cima dall’aspetto decisamente elegante, tanto magnifica e imponente da far pensare di essere al cospetto di un’ottomila himalayano.
Non è cosi, naturalmente, siamo solamente a Santa Caterina, ed il Pizzo Tresero, con i suoi 3594 m di altezza, è la cima che ne caratterizza il panorama. Ma è solo l’antipasto di un succedersi di meraviglie che questo paesino ed il suo territorio dalla grande vocazione alpinistica (basti ricordare che qui è nato il celebre Achille Compagnoni, conquistatore del K2) possono vantare. Infatti il Tresero non è che la prima cima di una lunga cresta a ferro di cavallo con ben 13 vette al di sopra dei 3500 metri che fa da corona al gigantesco ghiacciaio dei Forni, il secondo per estensione delle Alpi italiane. La prima e probabilmente la più bella.
Certo il Cevedale è superiore in altezza ( 3769 m), il San Matteo rievoca i ricordi della battaglia più alta della storia (3678 m), ma nessuna può vantare la maestosità del Tresero.
E dalla sua cima si può godere come da nessun’altra dello spettacolo offerto dai quasi 1300 ettari della superficie ghiacciata dei Forni.
Non di meno, il Tresero è punto di partenza (o di arrivo a seconda da dove la si cominci) di una delle più belle ed impegnative vie di alta quota delle Alpi: la traversata delle 13 cime, una grandiosa cavalcata che mai scende al di sotto dei 3300 m in un gruppo di montagne che sanno regalare panorami magnifici ed indimenticabili.
Si parte dal bivacco Seveso per conquistare, una dopo l’altra, le vette del Pizzo Tresero (m 3594, 1° cima). della Punta Pedranzini (m 3599, 2° cima), della Cima di Dosegù (m 3560, 3° cima), del Monte San Matteo (m 3678, 4° cima), del Monte Giumella (m 3594, 5° cima), della Punta Cadini (m 3524, 6° cima), della Punta di S.Caterina (m 3529, 7° cima), della Cima di Pejo (m 3549, 8° cima), della Punta Taviela (m 3612, 9° cima), del Monte Vioz (m 3645, 10° cima), del Palon de Lamare (m 3703, 11° cima), del Monte Rosole (m 3536, 12° cima) e del Monte Cevedale (m 3769, 13° e ultima cima) per poi rientrare al rifugio Larcher.
Una sequenza entusiasmante, nel regno del ghiaccio, dove è possibile anche respirare ed incontrare la storia. E’ infatti facile imbattersi in residuati bellici della 1° guerra mondiale (1915-1918), li a ricordarci le tristi pagine di quella che è ricordata come la “guerra bianca” che vide opposti su queste cime gli Alpini italiani e gli Ständschützen austriaci.
I soldati scavavano trincee nel ghiaccio a tremila metri, costruivano posti di vedetta a trenta gradi sotto zero, issavano cannoni con le slitte trainate da muli e cani. Uomini che attaccavano cime fatte di ghiaccio difese da altri esseri umani, in una lotta oggi incomprensibile. Ancora il ghiacciaio trattiene i corpi di molti uomini caduti alla cima del San Matteo (3678 m), il 3 settembre 1918, nella più alta battaglia della prima guerra mondiale. A distanza di quasi novant’anni i ghiacciai si sono ritirati, sull'Everest si è ritrovato il corpo di Mallory, e in Alto Adige l'uomo di Similaun, ma molti alpini e Ständschützen sono ancora custoditi dai ghiacciai dell'Ortles – Cevedale.

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