Agosto 1884. Nel pieno della notte una carrozza parte silenziosa dall’Hotel Posta di Sondrio e si inerpica fino a Predarossa. Su di essa vi sono quattro furèst, pare siano inglesi. Qualche giorno fa hanno già tentato di sconfiggere il colosso di ghiaccio da Chiareggio, ma il Disgrazia li ha respinti, ed ora riprovano dal versante opposto.
Edward Shirley Kennedy, presidente del Club Alpino Britannico, con il suo accompagnatore Thomas Cox , la guida Melchior Anderegg e il reverendo Leslie Stephen, padre di Virginia Woolf, sono i primi. 3678 metri verso il cielo, il Disgrazia è la Montagna degli Inglesi.
Edward Shirley Kennedy, presidente del Club Alpino Britannico, con il suo accompagnatore Thomas Cox , la guida Melchior Anderegg e il reverendo Leslie Stephen, padre di Virginia Woolf, sono i primi. 3678 metri verso il cielo, il Disgrazia è la Montagna degli Inglesi.
“Passammo accanto alla povera Capanna Maria, riferisce Bruno Galli-Valerio nella relazione sull’ascensione al Disgrazia dell’agosto 1894 , il cui tetto, strappato dal vento, giace a pochi metri al di sotto e che, forse con poca spesa, potrebbe venir riparata; passammo sul famoso cavallo di bronzo che la fantasia di qualche alpinista ci aveva dipinto per qualche cosa di ben pericoloso e che non ci parve per nulla meritevole di tanta fama, e alle dieci e mezzo toccammo la vetta, cinque ore e mezzo dopo aver lasciato la Capanna di Corna Rossa. Mai in vita mia ho sentito la poesia della natura penetrarmi così profondamente nell’anima come sulla vetta del Disgrazia. Quella distesa immensa di valli e monti sbalordisce. Dalle pianure verdeggianti, l’occhio passa all’azzurro dei laghi alpini, al verde cupo dei boschi di abete, al nero delle rocce brulle, al bianco degli sterminati ghiacciai. Ogni parola per descrivere il quadro che si affaccia allo spettatore del Disgrazia, non farebbe che sciuparlo. Natura meravigliosa, tu sei pur sempre quella che ci offri gli spettacoli più belli, e dei quali la nostra mente non si sazia mai”.
Io e il Disgrazia..
La prima volta che sono salito sul Disgrazia era l’agosto 2001 assieme a Renzo, mio papà. Avevamo scelto la SO, il versante più facile da salire, nonché la via dei primi salitori: Edward Shirley Kennedy, presidente del Club Alpino Britannico, Thomas Cox, il reverendo Leslie Stephen, padre della scrittrice Virginia Wolf, e la guida Melchior Anderegg. Si racconta che i pionieri partirono quand’era ancora notte fonda dall’albergo Posta di Sondrio e raggiunsero Predarossa in carrozza.
Ma torniamo a me, il reverendo Beno. Quell’agosto il ghiacciaio era molto crepacciato e la sella ricca di colli nevosi. Passaggi unici ed emozionanti. Qualche sasso si staccava di tanto in tanto scivolando lungo i canali nevosi che stavamo calpestando. Il fruscio si tramutava in silenzio. Il sasso spariva e dopo pochi secondi un cupo rintocco riemergeva dall’abisso. Ogni volta un nodo in gola. Non sapevo cosa ci aspettasse via via che ci avvicinavamo alla vetta. Si narra di difficoltà disumane, mi chiedevo dove si nascondessero. Attorno a me alpinisti con attrezzature da 8000, più indietro mio papà che, come me, saliva senza chiodi né ramponi, intento solo ad ammirare la bellezza della montagna.
Giunti alla spianata da cui si vede la parete Nord non potemmo far altro che fermarci a contemplare l’orrido di ghiaccio da cui sale la via Diretta, un dislivello di 500 metri che nella strozzatura s’inclina verticalmente fino a 60°-65°. Ricordavo ciò che dice Giuseppe Miotti di Schenatti e Lucchetti Albertini che nel ’34 salirono questa diretta “rimasta per molti anni la più difficile via di ghiaccio delle Alpi Retiche” e pensavo con stupore che il Bianco nell’86 da lì era sceso con gli sci. “La sua più grande impresa, […] fino al 1996 irripetuta, una delle discese più importanti fino ad oggi realizzate a livello mondiale” scrivono i tre autori di Dal Corno Stella al K2. Per superare le lente compagini impegnate sulla sella ghiacciata (e per la pigrizia di non mettere i ramponi), girammo a Sud sulle rocce sottostanti alla Syber-Gysi. La vista della Capanna Margherita confermò la correttezza della nostra via. Al Cavallo di Bronzo l’unica difficoltà fu quella di attendere pazientemente il nostro turno, prima di potergli saltare in groppa.
In vetta non sapevo dove guardare. L’orizzonte era immenso, imbarazzante. Non ci sono parole per descriverlo, andateci!
Perché mai chiamare Disgrazia una tale bellezza? Il nome altisonante e tutte le leggende che la descrivono come un mostro mangia alpinisti sono infondate, ma bastano a mettere in corpo smisurata tensione.
Scrive Miotti: “Chissà perché in seguito entrò come toponimo della vetta quel ‘Disgrazia’ che ricorda tragedie alpine che non ebbero mai luogo nelle sue pendici”. Forse il nome deriva dall’italianizzazione di “desglascià” (sciolto) o da italianizzazione più storpiamento di Cuai, il nome della famiglia proprietaria dell’alpe Predarossa ( Cuai Guai Disgrazia ). Ma tutto ciò manca di poesia. Perciò, facendo arbitraria selezione delle analisi toponomastiche, vi propongo quella che ritengo più corretta perché più divertente e valtellinese.
Si racconta che una volta Dio aveva donato agli abitanti di Berbenno un’imponente monte di verdi pascoli: il Pizzo Bello. Negli anni a venire l’eccessiva vanità e arroganza degli uomini causò la collera di Dio. Adirato, il Creatore bruciò coi fulmini i pascoli e ricoprì di ghiaccio le pendici del monte che venne così a chiamarsi Disgrazia. Gli abitanti di Berbenno dovettero perciò accontentarsi di una cima più modesta per pascolare il loro bestiame: l’attuale Pizzo Bello (m 2734).
Stessa fine, si narra, fecero i Corni Bruciati, a causa dell’ira che il Signore ebbe nei riguardi d’un pastore avido che non diede ristoro all’Onnipotente che s’era finto mendicante.
D'anno in anno il ghiacciaio di Predarossa sta fuggendo sempre più velocemente, anzi, quest'anno fra settembre e ottobre ha fatto registrare un'ablazione annuale! Sono convinto che, specialmente dopo il caldo e la siccità di questo inverno, si raggiungerà la vetta senza toccar neve!
Ma torniamo a me, il reverendo Beno. Quell’agosto il ghiacciaio era molto crepacciato e la sella ricca di colli nevosi. Passaggi unici ed emozionanti. Qualche sasso si staccava di tanto in tanto scivolando lungo i canali nevosi che stavamo calpestando. Il fruscio si tramutava in silenzio. Il sasso spariva e dopo pochi secondi un cupo rintocco riemergeva dall’abisso. Ogni volta un nodo in gola. Non sapevo cosa ci aspettasse via via che ci avvicinavamo alla vetta. Si narra di difficoltà disumane, mi chiedevo dove si nascondessero. Attorno a me alpinisti con attrezzature da 8000, più indietro mio papà che, come me, saliva senza chiodi né ramponi, intento solo ad ammirare la bellezza della montagna.
Giunti alla spianata da cui si vede la parete Nord non potemmo far altro che fermarci a contemplare l’orrido di ghiaccio da cui sale la via Diretta, un dislivello di 500 metri che nella strozzatura s’inclina verticalmente fino a 60°-65°. Ricordavo ciò che dice Giuseppe Miotti di Schenatti e Lucchetti Albertini che nel ’34 salirono questa diretta “rimasta per molti anni la più difficile via di ghiaccio delle Alpi Retiche” e pensavo con stupore che il Bianco nell’86 da lì era sceso con gli sci. “La sua più grande impresa, […] fino al 1996 irripetuta, una delle discese più importanti fino ad oggi realizzate a livello mondiale” scrivono i tre autori di Dal Corno Stella al K2. Per superare le lente compagini impegnate sulla sella ghiacciata (e per la pigrizia di non mettere i ramponi), girammo a Sud sulle rocce sottostanti alla Syber-Gysi. La vista della Capanna Margherita confermò la correttezza della nostra via. Al Cavallo di Bronzo l’unica difficoltà fu quella di attendere pazientemente il nostro turno, prima di potergli saltare in groppa.
In vetta non sapevo dove guardare. L’orizzonte era immenso, imbarazzante. Non ci sono parole per descriverlo, andateci!
Perché mai chiamare Disgrazia una tale bellezza? Il nome altisonante e tutte le leggende che la descrivono come un mostro mangia alpinisti sono infondate, ma bastano a mettere in corpo smisurata tensione.
Scrive Miotti: “Chissà perché in seguito entrò come toponimo della vetta quel ‘Disgrazia’ che ricorda tragedie alpine che non ebbero mai luogo nelle sue pendici”. Forse il nome deriva dall’italianizzazione di “desglascià” (sciolto) o da italianizzazione più storpiamento di Cuai, il nome della famiglia proprietaria dell’alpe Predarossa ( Cuai Guai Disgrazia ). Ma tutto ciò manca di poesia. Perciò, facendo arbitraria selezione delle analisi toponomastiche, vi propongo quella che ritengo più corretta perché più divertente e valtellinese.
Si racconta che una volta Dio aveva donato agli abitanti di Berbenno un’imponente monte di verdi pascoli: il Pizzo Bello. Negli anni a venire l’eccessiva vanità e arroganza degli uomini causò la collera di Dio. Adirato, il Creatore bruciò coi fulmini i pascoli e ricoprì di ghiaccio le pendici del monte che venne così a chiamarsi Disgrazia. Gli abitanti di Berbenno dovettero perciò accontentarsi di una cima più modesta per pascolare il loro bestiame: l’attuale Pizzo Bello (m 2734).
Stessa fine, si narra, fecero i Corni Bruciati, a causa dell’ira che il Signore ebbe nei riguardi d’un pastore avido che non diede ristoro all’Onnipotente che s’era finto mendicante.
D'anno in anno il ghiacciaio di Predarossa sta fuggendo sempre più velocemente, anzi, quest'anno fra settembre e ottobre ha fatto registrare un'ablazione annuale! Sono convinto che, specialmente dopo il caldo e la siccità di questo inverno, si raggiungerà la vetta senza toccar neve!
Digrazia (m 3678) e Monte Pioda (m 3431) - itinerario di salita